«Non c’è redenzione, non c’è salvezza, non c’è speranza o futuro, solo l’irresistibile spettacolo della morte e della decadenza, da cui prendere immediatamente le distanze non appena si scopre che è tutto vero.»
Stefano Maria Bianchi
Prefazione di Stefano Maria Bianchi
Una famiglia criminale dà origine alla faida più cruenta che si ricordi in Puglia, esplosa sul finire degli anni Ottanta.
Sulla scorta di atti giudiziari e testimonianze, prende vita un racconto fantastico, ispirato a quel terribile periodo segnato da oltre 160 omicidi a Taranto e dintorni nel giro di pochi mesi.
Giò Miranda, ribattezzato “il Messicano” dal camorrista don Raffaele, per aver fatto la comparsa in un western di Sergio Leone, è un boss fuori dagli schemi, con visioni che anticipano i tempi della mala imprenditrice. La sua influenza nel tessuto economico cittadino si espande dagli appalti nell’acciaieria, al controllo della filiera dell’edilizia ed altro ancora. La sua ascesa sembra inarrestabile. Ma qualcosa scricchiola. I contrasti con i fratelli minori e la madre, sempre più frequenti, deflagrano sulla questione droga: lui è ostile all’idea di entrare nel business, perché l’eroina crea allarme sociale nella città della Marina Militare e dell’industria siderurgica più grande d’Europa «in cui tutto accade senza far rumore», mentre i fratelli la pensano in maniera opposta e cercano alleanze in regione per imporsi.
Scoppia la guerra. Si spara per strada, in mezzo alla gente. Il conto dei morti ammazzati sale vertiginosamente. La stampa parla di “macelleria messicana” e nell’orrore quotidiano sguazza la tivù locale, diretta da una curiosa figura di telepredicatore con amicizie pericolose.