Le storie dello zucchero
Vicende e personaggi dello zuccherificio di San Giovanni in Persiceto (1969-2004)
La TRAMA
Lo zuccherificio, più che una fabbrica, era un mondo. Vi si incontravano lo studente universitario, nelle vesti di operaio di passaggio con un futuro di belle speranze, e il bracciante agricolo, ultimo discendente di quel ceto che a forza di braccia ha modellato il paesaggio agrario della pianura. Fra questi due estremi, una schiera di tecnici e di operai specializzati, che rappresentavano le maestranze stabili, occupate tutto l’anno. Da tutto ciò uno straordinario incrocio di destini, di storie, di umanità, di cui questo libro vuole essere la narrazione. Alla vivacissima parte narrativa (che l’autore ha tratto dai racconti degli uomini e delle donne che hanno lavorato nella fabbrica), si affianca uno splendido corredo fotografico, che va dagli anni felici della produzione alle scene della recente demolizione, simili a un paesaggio di guerra.
“Allargando di più lo sguardo al complesso dello zuccherificio, bisogna riconoscere che in una popolazione generalmente giovane le pulsioni dei sensi erano biologicamente, se così posso dire,all’ordine del giorno. Serviva anche per vincere la ripetitività delle mansioni e la noia di quelle torride giornate. Ho ancora davanti agli occhi un’immagine quasi emblematica delle caldane zuccherine. Lo scarico delle barbabietole era controllato da una torretta piuttosto alta. Da lassù si doveva vigilare che le bietole non tracimassero dalla vasca. Era un lavoro di attenzione, da piccola vedetta lombarda. Successe una volta che tutto lo zuccherificio restò incantato col mento in aria verso quella garritta trasparente, dove un giovane e una ragazza si baciavano con passione,mentre le barbabietole dilagavano impunemente fuori dal recinto. C’erano lunghe pause, che venivano riempite con gli scherzi, con le grigliate, con le avventure dei sensi, spesso più millantate che reali. C’era il tempo per farlo. Dovevi lavorare intensamente per un quarto d’ora, poi magarire stavi inattivo tre quarti d’ora, e in qualche modo dovevi riempirli. L’ambiente era tollerante,purché si stesse alle regole. Per gli irregolari, per i bastian contrari, c’era il confino al forno calce,dove si viveva in un’atmosfera lunare, avvolti da una perenne polvere bianca; si sbadilava per otto ore e, quando pioveva, la calce diventava calce viva, che ti bruciava.(...)
“Allargando di più lo sguardo al complesso dello zuccherificio, bisogna riconoscere che in una popolazione generalmente giovane le pulsioni dei sensi erano biologicamente, se così posso dire,all’ordine del giorno. Serviva anche per vincere la ripetitività delle mansioni e la noia di quelle torride giornate. Ho ancora davanti agli occhi un’immagine quasi emblematica delle caldane zuccherine. Lo scarico delle barbabietole era controllato da una torretta piuttosto alta. Da lassù si doveva vigilare che le bietole non tracimassero dalla vasca. Era un lavoro di attenzione, da piccola vedetta lombarda. Successe una volta che tutto lo zuccherificio restò incantato col mento in aria verso quella garritta trasparente, dove un giovane e una ragazza si baciavano con passione,mentre le barbabietole dilagavano impunemente fuori dal recinto. C’erano lunghe pause, che venivano riempite con gli scherzi, con le grigliate, con le avventure dei sensi, spesso più millantate che reali. C’era il tempo per farlo. Dovevi lavorare intensamente per un quarto d’ora, poi magarire stavi inattivo tre quarti d’ora, e in qualche modo dovevi riempirli. L’ambiente era tollerante,purché si stesse alle regole. Per gli irregolari, per i bastian contrari, c’era il confino al forno calce,dove si viveva in un’atmosfera lunare, avvolti da una perenne polvere bianca; si sbadilava per otto ore e, quando pioveva, la calce diventava calce viva, che ti bruciava.(...)