La collana Fatterelli Bolognesi si arricchisce di una nuova storia illustrata dedicata ad un quadro gigantesco (e bellissimo) realizzato dal pittore Wolfango, dal nome Il Cassetto.
«E così iniziò la tribolata, ma anche fortunata vicenda di quel quadro, il primo che di Wolfango avessi mai visto. Quel dipinto doveva trovare la sua sede in un palazzo pubblico; anzi: proprio nel Palazzo Pubblico, e cioè nell’edificio in cui, da secoli, siede l’amministrazione della città di Bologna.»
Wolfango s’era rivolto a un falegname, che lì in quella stanza aveva costruito il telaio del quadro, grande come la parete. E poi era stata tesa la tela, vasta assai più d’un lenzuolo da letto matrimoniale. E su quella tela vuota era stato dipinto con assoluta, totale fedeltà al vero, un vecchio cassetto, tirato fuori da un comò, o da un armadio, o da una scrivania.
È un cassetto che parecchi fra noi tengono in casa, e non vuotano mai. Un cassetto che non serve a nulla, che non contiene oggetti di qualche utilità. In quel cassetto lasciamo le tracce della nostra vita, frammenti di vecchi giocattoli, un biglietto del treno di quando eravamo stati in vacanza, l’indirizzo d’un compagno di scuola di cui non sappiamo più nulla.
In quel cassetto d’enorme dimensione c’era, e c’è, una gran quantità di oggetti, ciascuno attentissimamente figurato, anche se in dimensione di dieci volte maggiore; come se ogni oggetto fosse visto attraverso una lente d’ingrandimento.
L’enorme quadro, però, non si poteva arrotolare. È sì un’opera su tela ma il colore acrilico con cui era stata dipinta era stato steso da Wolfango in grande spessore, quasi per imitare la consistenza degli oggetti anche metallici o lignei o cartacei che vi erano ritratti. Non si poteva fare altro che tenerlo in piedi, così com’era. La porta non era abbastanza grande per farlo uscire. Che fare?