A cura di Marco Tarozzi
Fotografie di Walter Breveglieri
A entrarci oggi, sembra di volare. Sospesi sulla storia, fluttuanti a mezza altezza sui resti della basilica e delle strade lastricate e geometriche della Bononia romana. Questo luogo seducente, dove chiunque può sorvolare il passato con le ali dell’immaginazione, è per tutti la Sala Borsa.
Il nome ne rivela la funzione originaria e nasconde i tanti altri ruoli che le vicende cittadine dell’ultimo secolo, ma se i bolognesi coi capelli grigi ancora oggi sospirano varcandone la soglia e istintivamente sollevano gli occhi verso le due estremità della sala rettangolare, non è in ricordo delle contrattazioni di un avo, del conto corrente del padre o dei tortellini che mani pietose offrivano a poco prezzo ai loro nonni ai tempi grami della Grande Guerra. No, i bolognesi coi capelli grigi sospirano e alzano gli occhi perché cercano qualcosa. Cercano i canestri. I canestri che mezzo secolo fa su quel pavimento a losanghe e tra le spire azzurrine delle cento sigarette gli hanno regalato, con la magia del basket, il sogno semplice di un’America fatta in casa.
Quella Bologna che con dignità si rimetteva in piedi, stava diventando la città dei canestri, e il miracolo avveniva proprio lì, in una sala centralissima e misteriosa che fu il tempio di una passione nuova e la scusa per tornare a preceduto, e aperto la strada, al mito di BasketCity, La Città dei Canestri, che in sorridere. Allora non sapevano, i tifosi e i giocatori, che proprio sotto i canestri c’erano ancora – come tesori sepolti – le vestigia delle loro millenarie radici.
La pallacanestro all’epoca veniva dagli anni eroici della palestra di Santa Lucia, in via Castiglione. Ma in Sala Borsa fu un’altra cosa: la passione, a lungo confinata ai discorsi tecnici degli intenditori, dilagò e in appena dieci anni anche quella bomboniera che aveva raccolto i fasti del basket bolognese si era già fatta troppo piccola per contenere i sogni e i bisogni degli innamorati della pallacanestro. Nel 1957 fu inaugurato il Palasport di Piazza Azzarita e i campioni emigrarono. Un decennio, roba che vola via in fretta. Ma così intenso, così pieno di storia e di gloria. Dentro gli anni magici della Sala Borsa ci sono i sei scudetti della Virtus, i primi sei della storia della V nera. Ci sono i primi derby. Niente Virtus-Fortitudo, a quei tempi: ma sfide fantastiche dei campioni della V nera contro il Gira, l’Oare, la Motomorini. Ci sono i passaggi di consegne tra la vecchia guardia, quella dei Dondi Dell’Orologio e dei Marinelli, e le forze nuove: il gigante Calebotta, capitan Rapini, il “furlàn” Achille Canna, Ranuzzi. Ci sono, leggendari come ogni novità, i primi stranieri: James Larry Strong, per gli amici e gli appassionati semplicemente Jimmy, Frank Germain, il newyorchese che infiammò la “torcida” del Gira, e ancora Mascioni.
C’è tutto questo in Sala Borsa. E c’è, a bordocampo, l’occhio attento di Walter Breveglieri, pronto a inchiodare sulla pellicola gli attimi fuggenti della storia della pallacanestro bolognese. Dalle sue foto, e dalla voce di quelli che c’erano e quella storia l’hanno vissuta e scritta, nasce questo libro che racconta, per immagini ed episodi, quella febbre che saliva e bruciava dentro la Sala Borsa. Tra gli altri, la raccontano Gigi Rapini, Achille Canna, Renzo Ranuzzi, Carlo Muci, Frank Germain. E giornalisti che vissero quei fasti come Gianfranco Civolani, Nando Macchiavelli, Franco Vannini. Accompagnati dalla sinfonia delle immagini di Walter Breveglieri, testimonianze immortali di un’epoca che ha Sala Borsa era già, in quel dopoguerra intenso di sogni e speranze, più vivo e vitale che mai.