a cura di Maurizio Garuti
I fondali preferiti da Pettazzoni sono le vie urbane, le piazze, i marciapiedi, le panchine, i bar, le sale d’attesa, le stazioni. Ma in primo piano c’è altro. Se fotografa un’automobile, ama farlo dall’interno, lasciando intravedere le mani sul volante o il profilo di chi guida; se lo fa dall’esterno, il suo obiettivo sono le immagini baluginanti della figura dietro i cristalli. Se fotografa un treno, è solo per riprendere i passeggeri. Se ritrae una piazzetta è perché dei bambini giocano a palla. Se riprende una collina, lo fa perché è percorsa da un sentiero a spirale che conduce a un albero solitario, sul cucuzzolo: dove la presenza dell’uomo è più che una metafora. L’umanità, di cui pessimisticamente diffida a parole, torna prepotentemente nelle sue immagini come tema quasi esclusivo della ricerca. E l’autore sembra dirci che alla fine, al di fuori dei nostri simili, non c’è nulla di veramente interessante a questo mondo.