Donato Bramante. Ricerche, proposte, riletture
La TRAMA
Il lavoro di stesura dei saggi riuniti in questo volume ha impegnato gli autori a partire dalla primavera del 2000. Sono certo che ciascuno di essi, in momenti particolari, deve aver pensato che il proprio contributo prendeva forma esattamente alla distanza di mezzo millennio dalle primissime prove romane di Donato Bramante.
Distratta da “centenari” con i quali bisognava, comunque, fare i conti, quelli di Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) e di Francesco Borromini (1599-1667), nel 1999 Roma ha dimenticato di ricordare, celebrandolo, l’arrivo - o, forse, meglio, il definitivo approdo, - di Bramante nell’Urbe, dopo la sua più ventennale presenza in Lombardia e, in particolare a Milano.
Eppure, proprio il trasferimento nella Città Eterna Giorgio Vasari considerò quale atto sostanziale per il compiuto manifestarsi della personalità architettonica di Donato:
“considerata che egli ebbe questa fabbrica [il Duomo di Milano] e conosciuti questi ingegneri, s’inanimì di sorte, che egli si risolvé del tutto darsi all’architettura; laonde partitosi da Milano, se ne venne a Roma innanzi lo Anno Santo del MD ”.
Riconosciute subito quali già classiche dai contemporanei, al pari di quanto era avvenuto per gli edifici periclei dell’acropoli di Atene, come narra Plutarco, le opere romane di Bramante consentirono al Vasari - che poco o nulla sapeva della prolifica attività milanese di Donato, documentariamente ricostruita, in specie, dalla storiografia dell’ultimo secolo – di formulare quel giudizio, in altissima misura elogiativo sull’architetto marchigiano, che tanta influenza avrebbe avuto nell’indirizzare quelli successivi; giudizio che il parallelo con Filippo Brunelleschi rendeva ancor più cogente:
“Di grandissimo giovamento all’architettura fu veramente il moderno operare di Filippo Brunelleschi, avendo egli contraffatto e dopo molte età rimesse in luce l’opere egregie de’ più dotti e meravigliosi antichi. Ma non fu manco utile al secolo nostro Bramante, acciò, seguitando le vestigie di Filippo, facesse agli altri dopo lui strada sicura nella professione dell’architettura, essendo egli di animo, valore, ingegno e scienza in quella arte non solamente teorico, ma pratico ed esercitato sommamente ”.
Dai tempi della monumentale monografia che Arnaldo Bruschi dedicava a Bramante architetto nel 1969 e della pubblicazione, nel 1974, degli atti del convegno internazionale bramantesco del 1970, solo la monografia di Franco Borsi è giunta in anni più recenti – 1989 – a riconsiderare l’intera produzione architettonica, pittorica e teorica del Nostro.
Più circoscritti geograficamente nelle tematiche gli interventi che hanno caratterizzato, dagli anni Novanta a oggi, i momenti corali di soggetto bramantesco. Pensato al Seminario del Centro Internazionale di studi di architettura “Andrea Palladio” di Vicenza che nel 1996 è stato dedicato a Bramante milanese e l’architettura del Rinascimento lombardo – gli atti, a cura di Christoph Luitpold Frommel, Luisa Giordano e Richard Schofield sono in stampa, come cortesemente mi comunica Guido Beltramini -, al convegno intitolato al Tempietto di San Pietro in Montorio dalla Biblioteca Hertziana di Roma nel 1998, infine all’esposizione Bramante e la sua cerchia a Milano e in Lombardia 1480-1500, curata da Luciano Patetta e tenutasi a Milano dal 31 marzo al 20 maggio di quest’anno (catalogo Skira).
Questo volume, che dunque vuole ricordare l’arrivo di Bramante a Roma – città alla quale il Maestro, maturato dal confronto quotidiano con la magnificenza delle fabbriche antiche (per le quali “solitario e cogitativo se n’andava”), dette in volto nuovo – si è configurato come una sorta di opera monografica. Infatti i testi che vi sono presenti, ordinati per quanto possibile cronologicamente, in base ai soggetti trattati, studiati con gli strumenti propri a differenti discipline, riguardano gran parte dell’attività del grande architetto e teorico dell’architettura, pittura, pittore e “prospettivo”.
Significativamente introdotta da un saggio di Arnaldo Bruschi sulla personalità artistica e umana di Donato Bramante, la raccolta si conclude con uno scritto di Vincenzo Fontana che allarga l’obiettivo per abbracciare i riflessi veneziani della nuova architettura bramantesca.
Tra i due estremi Filippo Camerota, Richard Schofield, Daniela del Pesco, Carlo Pedretti, Simonetta Valtieri, Fausto Testa, Hubertus Günther, Christof Thoenes, Enzo Bentivoglio, Marina Döring e chi scrive si occupano di momenti nodali e, in parte, ancora problematici, dell’attività dell’architetto dalla formazione urbinate agli esiti lombardi e romani.
Distratta da “centenari” con i quali bisognava, comunque, fare i conti, quelli di Gian Lorenzo Bernini (1598-1680) e di Francesco Borromini (1599-1667), nel 1999 Roma ha dimenticato di ricordare, celebrandolo, l’arrivo - o, forse, meglio, il definitivo approdo, - di Bramante nell’Urbe, dopo la sua più ventennale presenza in Lombardia e, in particolare a Milano.
Eppure, proprio il trasferimento nella Città Eterna Giorgio Vasari considerò quale atto sostanziale per il compiuto manifestarsi della personalità architettonica di Donato:
“considerata che egli ebbe questa fabbrica [il Duomo di Milano] e conosciuti questi ingegneri, s’inanimì di sorte, che egli si risolvé del tutto darsi all’architettura; laonde partitosi da Milano, se ne venne a Roma innanzi lo Anno Santo del MD ”.
Riconosciute subito quali già classiche dai contemporanei, al pari di quanto era avvenuto per gli edifici periclei dell’acropoli di Atene, come narra Plutarco, le opere romane di Bramante consentirono al Vasari - che poco o nulla sapeva della prolifica attività milanese di Donato, documentariamente ricostruita, in specie, dalla storiografia dell’ultimo secolo – di formulare quel giudizio, in altissima misura elogiativo sull’architetto marchigiano, che tanta influenza avrebbe avuto nell’indirizzare quelli successivi; giudizio che il parallelo con Filippo Brunelleschi rendeva ancor più cogente:
“Di grandissimo giovamento all’architettura fu veramente il moderno operare di Filippo Brunelleschi, avendo egli contraffatto e dopo molte età rimesse in luce l’opere egregie de’ più dotti e meravigliosi antichi. Ma non fu manco utile al secolo nostro Bramante, acciò, seguitando le vestigie di Filippo, facesse agli altri dopo lui strada sicura nella professione dell’architettura, essendo egli di animo, valore, ingegno e scienza in quella arte non solamente teorico, ma pratico ed esercitato sommamente ”.
Dai tempi della monumentale monografia che Arnaldo Bruschi dedicava a Bramante architetto nel 1969 e della pubblicazione, nel 1974, degli atti del convegno internazionale bramantesco del 1970, solo la monografia di Franco Borsi è giunta in anni più recenti – 1989 – a riconsiderare l’intera produzione architettonica, pittorica e teorica del Nostro.
Più circoscritti geograficamente nelle tematiche gli interventi che hanno caratterizzato, dagli anni Novanta a oggi, i momenti corali di soggetto bramantesco. Pensato al Seminario del Centro Internazionale di studi di architettura “Andrea Palladio” di Vicenza che nel 1996 è stato dedicato a Bramante milanese e l’architettura del Rinascimento lombardo – gli atti, a cura di Christoph Luitpold Frommel, Luisa Giordano e Richard Schofield sono in stampa, come cortesemente mi comunica Guido Beltramini -, al convegno intitolato al Tempietto di San Pietro in Montorio dalla Biblioteca Hertziana di Roma nel 1998, infine all’esposizione Bramante e la sua cerchia a Milano e in Lombardia 1480-1500, curata da Luciano Patetta e tenutasi a Milano dal 31 marzo al 20 maggio di quest’anno (catalogo Skira).
Questo volume, che dunque vuole ricordare l’arrivo di Bramante a Roma – città alla quale il Maestro, maturato dal confronto quotidiano con la magnificenza delle fabbriche antiche (per le quali “solitario e cogitativo se n’andava”), dette in volto nuovo – si è configurato come una sorta di opera monografica. Infatti i testi che vi sono presenti, ordinati per quanto possibile cronologicamente, in base ai soggetti trattati, studiati con gli strumenti propri a differenti discipline, riguardano gran parte dell’attività del grande architetto e teorico dell’architettura, pittura, pittore e “prospettivo”.
Significativamente introdotta da un saggio di Arnaldo Bruschi sulla personalità artistica e umana di Donato Bramante, la raccolta si conclude con uno scritto di Vincenzo Fontana che allarga l’obiettivo per abbracciare i riflessi veneziani della nuova architettura bramantesca.
Tra i due estremi Filippo Camerota, Richard Schofield, Daniela del Pesco, Carlo Pedretti, Simonetta Valtieri, Fausto Testa, Hubertus Günther, Christof Thoenes, Enzo Bentivoglio, Marina Döring e chi scrive si occupano di momenti nodali e, in parte, ancora problematici, dell’attività dell’architetto dalla formazione urbinate agli esiti lombardi e romani.
Caratteristiche TECNICHE
ISBN: | 978-88-7381-025-X |
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A cura di: | Francesco Paolo Di Teodoro |
Illustrazioni: | 250 b/n e a colori |
Data di uscita: | Ottobre 2001 |
Formato: | 21,5 x 28,5 cm |
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Pagine: | 424 + Copertina cartonata con sovraccoperta |
Lingua: | Italiano |