La TRAMA
Il progetto sul Mozambico, pensato per una realizzazione editoriale ed espositiva, segue quello realizzato nel 2002 sul Sud Africa. Come Africa oltre lo specchio, edito da Minerva Edizioni, ha circolato per tutto lo scorso anno in Musei e Pinacoteche d’arte contemporanea italiane, ugualmente si vuole fare per la pubblicazione del reportage sul Mozambico. Che sia cioè complementare alla mostra relativa, ma anche e soprattutto un autonomo strumento di approfondimento, slegato dall’evento espositivo in quanto tale.
Il libro, che documenta il reportage realizzato dal fotoreporter Aberto Givanni nel Mozambico, è curato da Elisabetta Pozzetti e Italo Zannier, patrocinato dall’Ambasciata del Mozambico, in collaborazione con la rivista Nigrizia, con i testi (italiano-inglese) dell’Ambasciatore Francisco Chigarro, dello storico della fotografia Italo Zannier, e della giornalista Paola Artoni.
Attraverso il reportage fotografico e attraverso il diario di Givanni, al lettore è dato di viaggiare virtualmente nella terra magnifica e allo stesso tempo ricca di contraddizioni del Mozambico. Dalla discarica di Maputo e dunque dalla difficile condizione di sopravvivenza in special modo dei bambini, che della montagna di rifiuti hanno fatto la loro casa e il loro unico strumento di sopravvivenza, alla suggestiva spiaggia di Beira, dove neri relitti incagliati sulla rena incombono sul brulicante commercio del pesce, fino al mercato denso di umori e vita di Nampula, in cui accanto a prodotti di internazionale distribuzione sopravvivono antiche tradizioni alimentari, fino all’intensa narrazione articolata nelle sale dell’ospedale di Alua.
Poche stanze, con una rimessa che funge da sala d’attesa, di contro alla pazienza silenziosa dei malati. Si succedono gli scatti realizzati a Tete, Carapira, Mucumbura, Mamelane, Nakala e Boroma. Scatti che fermano una vita scandita da un tempo molto differente da quello occidentale. Il tempo della riflessione. La stessa che si genera nell’indugiare a osservare quella realtà povera, ma decisamente più naturale, più umana della nostra “civilizzata”. Le lezioni di sartoria, destinate rigorosamente agli uomini, assecondano ritmi ancora del tutto artigianali, dove la produzione si regge sulla metodica e attenta laboriosità di ago e filo. I maestri insegnano al di sotto di un capanno fatiscente così come in una scuola con la vecchia Singer disegnata a gessetto sulla lavagna.
Settemila chilometri percorsi, anche in zone normalmente considerate irraggiungibili, come i villaggi nascosti nelle foreste ai confini dello Zimbabwe. Settemila chilometri vissuti a stretto contatto con le persone, fianco a fianco, in piena condivisione d’affetti e di cibo.