Leonardo Iannacci nasce a Bologna l’8 luglio del 1962. Sbuca dagli anni Sessanta e cresce felice. Si laurea in Giurisprudenza ma realizza di essere in grado di fare solo una cosa: il giornalista.
Muove i primi passi nella redazione sportiva de “L’Unità”, poi diventa inviato speciale per “Giganti del Basket”, “Guerin Sportivo”, “Autosprint”, “AM - Corriere dello Sport”, “Auto”. Verga articoli per “Il Giorno”, “Il Messaggero”, “La Stampa” e per “Libero”, il cui fondatore è Vittorio Feltri. In quattro decenni va per il mondo e riferisce di Olimpiadi, Mondiali ed Europei di calcio, basket e pallavolo. Anche di mille eventi motoristici e altrettanti musicali.
Ha la fortuna di fare l’inviato in un’epoca in cui non si copiavano le notizie dal web ma si lavorava “andando-vedendo-raccontando-incontrando”. Nelle stanze della memoria conserva ricordi di incontri incredibili. Qualche nome: Maradona e Magic Johnson, Tommie Smith e Cher, Franz Beckenbauer e i Coldplay, Richard Gere e Giampiero Boniperti, Luisito Suárez e Arnold Schwarzenegger, i Rolling Stones e Valentino Rossi, Stirling Moss e i Pink Floyd, Paul McCartney e Joe Frazier, i Pink Floyd e Vittorio Gassman, Al Pacino e Paolo Villaggio, Luciano Pavarotti e Lucio Dalla, Ennio Morricone e Alberto Tomba, Mike Bongiorno e Kareem Abdul-Jabbar. E altri cento.
Di molti porta con sé un flash, una frase, uno sguardo. Di alcuni diventa amico.
In pensione (dribblata) continua a scrivere perché non sa fare e non vuole fare altro. Ha già scritto libri e, forse, il mondo non aveva bisogno di quello che avete tra le mani.
Lui sì.